Sab. Lug 27th, 2024
An international team of scientists have used data collected by the NASA/ESA/CSA James Webb Space Telescope to detect a molecule known as the methyl cation (CH3+) for the first time, located in the protoplanetary disc surrounding a young star. They accomplished this feat with a cross-disciplinary expert analysis, including key input from laboratory spectroscopists. The vital role of CH3+ in interstellar carbon chemistry has been predicted since the 1970s, but Webb’s unique capabilities have finally made observing it possible — in a region of space where planets capable of accommodating life could eventually form. This graphic shows the area, in the centre of the Orion Nebula, that was studied by the team. The nebula lies about 1350 light-years from Earth. The largest image, on the left, is from Webb’s NIRCam instrument. On the right, the telescope is focused on a smaller area, where the team have used Webb’s MIRI instrument to add more depth to their study. A total of eighteen filters across both the MIRI and NIRCam instruments were used in these images, covering a range of wavelengths from 1.4 microns in the near-infrared to 25.5 microns in the mid-infrared. The detailed coverage was necessary for the team to study the light from protoplanetary discs, and analyse the unique features revealed by Webb using spectroscopy from its MIRI and NIRSpec instruments. The region captured here in breathtaking detail by Webb is a part of the Orion Nebula known as the Orion Bar. It is an ionisation front, where energetic far-ultraviolet light from the Trapezium Cluster — located off the upper-left corner — interacts with dense molecular clouds. The energy of the stellar radiation is slowly eroding the Orion Bar, and this has a profound effect on the molecules and chemistry in the protoplanetary discs that have formed around newborn stars here. At the very centre of the MIRI area is an ionised star-protoplanetary disc system, or proplyd, named d203-506. The pullout at

Scienziati internazionali rilevano attraverso il telescopio spaziale James Webb il catione metilico (CH3+) in un disco protoplanetario.

Redazione

Questa molecola semplice possiede una caratteristica unica: presenta una reattività relativamente inefficiente nei confronti dell’elemento più abbondante nell’Universo, l’idrogeno, ma reagisce prontamente con altre molecole, avviando così la formazione di molecole a base di carbonio più complesse. La chimica del carbonio suscita un interesse particolare tra gli astronomi in quanto tutta la vita conosciuta è fondata su di essa. Il ruolo vitale del CH3+ nella chimica interstellare del carbonio fu previsto negli anni ’70, ma grazie alle capacità uniche del telescopio spaziale Webb è finalmente possibile osservarlo. Ciò avviene in una regione dello spazio in cui potrebbero eventualmente formarsi pianeti capaci di ospitare la vita.

Le sostanze chimiche al carbonio formano le basi di tutta la vita conosciuta e, come tale, sono di particolare interesse per gli scienziati che cercano di comprendere sia come la vita si sia sviluppata sulla Terra, sia come potrebbe svilupparsi potenzialmente altrove nel nostro universo. Di conseguenza, la chimica organica interstellare è un campo di grande fascino per gli astronomi che studiano i luoghi in cui si formano nuove stelle e pianeti. Gli ioni molecolari contenenti carbonio sono particolarmente importanti perché reagiscono con altre piccole molecole per formare composti organici più complessi anche a basse temperature interstellari.

Il catione metile (CH3+) rappresenta uno dei principali ioni a base di carbonio. A partire dagli anni ’70 e ’80, gli scienziati hanno ipotizzato che CH3+ rivestisse un’importanza particolare, in virtù di una sua affascinante proprietà: la reattività con un’ampia gamma di altre molecole. Nonostante la sua rilevanza, il catione non era mai stato rilevato fino ad ora. Tuttavia, le capacità uniche del telescopio spaziale Webb hanno consentito di individuare questo catione fondamentale, e recentemente un gruppo di scienziati internazionali lo ha osservato per la prima volta proprio grazie al telescopio Webb. Marie-Aline Martin, uno spettroscopista e membro del team scientifico dell’Università Paris-Saclay in Francia, ha spiegato: “La scoperta di CH3+ non solo conferma l’incredibile sensibilità del telescopio spaziale James Webb, ma conferma anche l’importanza centrale che CH3+ aveva ipoteticamente nella chimica interstellare.”

Nel sistema del disco stellare-planetario noto come d203-506, situato nella Nebulosa di Orione a una distanza di circa 1350 anni luce, è stato individuato il segnale del CH3+. Nonostante la stella nel sistema d203-506 sia una piccola nana rossa con una massa pari a circa un decimo di quella del Sole, il sistema è soggetto a intensa radiazione ultravioletta proveniente da stelle giovani, calde e di massa elevata nelle vicinanze. Gli scienziati ritengono che la maggior parte dei dischi protoplanetari, che sono i luoghi in cui si formano i pianeti, attraversi una fase di intensa radiazione ultravioletta simile a quella osservata in d203-506. Ciò è dovuto al fatto che le stelle tendono a formarsi in gruppi che spesso includono stelle di massa elevata che emettono radiazione ultravioletta.

E’ interessante notare che ciò che proviene dai meteoriti suggeriscono che anche il disco protoplanetario che ha dato origine al nostro Sistema Solare abbia subito una notevole quantità di radiazione ultravioletta. Tale radiazione è stata emessa da una compagna stellare del Sole che si è estinta da tempo (le stelle di massa elevata bruciano intensamente e hanno un ciclo di vita più breve rispetto alle stelle meno massive). Tutto ciò complica ulteriormente la situazione, poiché per lungo tempo si è ritenuto che la radiazione ultravioletta fosse solo distruttiva per la formazione di molecole organiche complesse. Tuttavia, ci sono evidenze chiare che il nostro pianeta, l’unico noto in grado di ospitare la vita, si sia formato da un disco protoplanetario che è stato pesantemente esposto a questa radiazione.

Il gruppo di ricerca di questa importante indagine potrebbe aver risolto l’enigma, scoprendo che la presenza di CH3+ è direttamente correlata alla radiazione ultravioletta, la quale fornisce l’energia necessaria per la formazione di CH3+. Inoltre, sembra che il periodo di esposizione alla radiazione ultravioletta abbia un profondo impatto sulla chimica di determinati dischi. Ad esempio, le osservazioni condotte da Webb su dischi protoplanetari non esposti a intensa radiazione ultravioletta da una fonte vicina hanno rivelato un’abbondante presenza di acqua, a differenza del disco d203-506, nel quale il team non è riuscito a rilevare acqua. Olivier Berné, il principale autore dello studio presso l’Università di Tolosa, in Francia, ha affermato che “questo dimostra chiaramente come la radiazione ultravioletta possa trasformare radicalmente la chimica di un disco proto-planetario. Potrebbe svolgere un ruolo critico nelle prime fasi chimiche dell’origine della vita, contribuendo alla produzione di CH3+ – un aspetto che potrebbe essere stato sottovalutato in passato

La scoperta del CH3+ è stata resa possibile grazie a una collaborazione sinergica tra astronomi osservazionali, modellisti astrochimici, teorici e spettroscopisti sperimentali. Questi diversi gruppi di ricercatori hanno unito le loro competenze e sfruttato le capacità uniche del telescopio spaziale James Webb (JWST), insieme ai laboratori terrestri, al fine di investigare e interpretare con successo la composizione e l’evoluzione dell’universo locale. Marie-Aline Martin ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione affermando: “La nostra scoperta è stata resa possibile solo grazie all’unione delle forze degli astronomi, dei modellisti e degli spettroscopisti di laboratorio, i quali hanno lavorato insieme per comprendere le caratteristiche uniche osservate da James Webb“.

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